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Le canzoni della mala milanese

Lingera, ligera o leggera, termine che può essere riscontrato nel mondo popolare dell’Italia settentrionale, è un’espressione oggetto di molteplici appro­priazioni, in grado di acquisire differenti sfumature a seconda dei contesti in cui viene utilizzata. Nelle città, per esempio, i ligera sono i piccoli delinquenti e la ligera è la malavita. (…) nelle campagne il termine indica chi non vuole lavorare o non vuole farlo continuativamente (…). È dunque alla radice della parola ligera che si possono individuare, da un lato, le tracce dell’iscrizione dell’autore di reato nelle fasce di popolazione meno abbienti e, dall’altro, l’idea di leggerezza e libertà, la possibilità di fuga dal discipli­namento. Entrambi gli aspetti sono molto presenti nelle canzoni della mala mila­nese (…). Dal dopoguerra in avanti, esse riuscirono a introdurre un nuovo gusto per l’autentico, facendo leva su alcune componenti romantiche da opporre ai processi di industrializzazione. Trovando un punto di equilibrio tra l’eredità dell’etnomusicologia e le logiche di mercato, le canzoni della mala incubarono così i più ampi mutamenti culturali successivi che portarono alla nascita della canzone d’autore.

Sul finire degli anni cinquanta, il repertorio della ligera raggiunse un vasto pubblico anche grazie a Ornella Vanoni (…). Come racconta la stessa Vanoni, il ruolo di cantante della malavita le fu in un certo senso cucito addosso da Giorgio Strehler e da quella fucina di artisti formidabili che ruotava attorno al Piccolo Teatro di Milano, primo teatro stabile a gestione pubblica in Italia, nato nel 1947 per volontà, appunto, di Strehler e di Paolo Grassi. Il Piccolo costituì una realtà all’avanguardia sin dalla sua creazione poiché si proponeva quale teatro d’arte per tutti, rivolto alla comunità e teso al superamento del dualismo tra cultura alta e popolare. È con questa prospettiva che – dopo qualche ricerca fallimentare di canzoni autentiche nelle osterie di Milano, compiuta da Vanoni e dal musicista Gino Negri – Strehler, lo stesso Negri, Fiorenzo Carpi, Dario Fo e Fausto Amodei decisero di comporre dei canti della malavita ex novo. Per suscitare maggiore interesse da parte del pubblico, inventarono di aver ritrovato un manoscritto contenente quelle melodie da fuorilegge. In questo modo lanciarono alcuni grandi successi come Ma mì, Hanno ammazzato il Mario o Le Mantellate.

 

Poco dopo, tra gli altri anche Enzo Jannacci e Giorgio Gaber, legati anch’essi alla medesima industria cultural-intellettuale milanese, incisero alcuni pezzi ri­collegabili allo stesso filone della ligera. Jannacci scrisse per esempio con Walter Valdi la canzone Faceva il palo (1966) in cui si racconta una delle vicende della banda dell’Ortica. Nello stesso genere può essere collocata La ballata del Cerutti (1960) di Gaber e Umberto Simonetta, che racconta di un balordo del Giambellino, soprannominato «drago», ladro di lambrette arrestato e recluso a San Vittore. Nonostante la ricerca infruttuosa per Vanoni, un repertorio di autentiche melodie della ligera esisteva eccome, cantato dai cantastorie nelle osterie. Il cantastorie era solito proporre un repertorio mandato a memoria in cui molto spesso un motivo si fondeva con un altro, dando origine non tanto e non solo a canzoni distinte quanto ai cosiddetti risotti, in cui i pezzi si confondevano gli uni negli altri. Gaber, Cochi e Renato ma anche soprattutto Nanni Svampa, si formarono come musicisti proprio nelle osterie. Forte di questa esperienza, Svampa, negli anni settanta, incise Milanese – Antologia della canzone lombarda che raccoglieva in dodici album il patrimonio popolare tradizionale milanese. Uno degli album di Svampa è dedicato proprio alle canzoni della mala e dell’osteria e, come gli altri, riporta i commenti di Mi­chele Straniero, musicologo e membro prima dei Cantacronache e poi del Nuovo Canzoniere Italiano, che lo aiutò nella curatela della raccolta. Tra le canzoni più note pubblicate nell’album si ricorda qui Porta Romana bella, manifesto delle canzoni della mala. Da Porta Romana alla banda dell’Ortica, il concetto di canzone della mala viene dunque rilanciato nella Milano del teatro e del cabaret dei primi decenni del dopoguerra, includendo al proprio interno sia dei contributi autentici, gene­ralmente conservati per un certo periodo nelle osterie e incisi – tra gli altri – da Svampa, sia degli altri ricreati, soprattutto grazie al progetto artistico di alcuni intellettuali legati al Piccolo Teatro di Milano.

Estratto da: «Mi tolgo gli orecchini, sono frivoli» Le canzoni della mala milanese tra autenticità e romanticismo, di Oriana Binik, in STUDI CULTURALI - ANNO XIV, N. 1, APRILE 2017, pp. 48-50.

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