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La gatta

La gatta

Nel frattempo avevamo cambiato casa. La soffitta di Boccadasse era stata svuotata, inscatolata e abbandonata nel magone generale. La piccola gatta siamese che non si staccava mai da me, dormendomi sulla pancia mentre prendevo un po’ di sole sul terrazzino e lasciando sulla mia ab-bronzatura una pennellata bianca all’altezza dell’ombelico, modellandosi intorno al mio collo mentre dipingevo, con le zampe abbandonate sulle spalle, come un cuscinetto gonfiabile per i voli a lungo raggio, era entrata nella gabbietta ed era stata abbastanza buona e zitta, mentre la portavo nel nuovo appartamento in corso Paganini. Bisognava cogliere quel segnale, era stata, fino a quel momento, una gran chiacchierona. L’avevamo chiamata Ciacola per questo: in veneto significa «chiacchiera». Era una gatta parlante come gli animali delle fiabe o dei fumetti: discorreva, proponeva, suggeriva, protestava, aveva da dire la sua su ogni argomento. Di fronte alle decisioni da prendere, la sua posizione era tenuta nello stesso conto delle nostre. In presenza di un estraneo, l’ultima parola era indiscutibilmente la sua; se non piaceva a Ciacola, in casa nostra una persona non metteva più piede. Morì dopo due mesi dal trasloco. La soffitta era diventata stretta a noi, per lei era l’unica condizione di vita. Il callo si infettò, diventò un’ulcerazione da curare con urgenza. Per distrarmi dal bruciore, buttai giù il mio giro di Do alla chitarra, tutto quel che sapevo fare allo strumento. Ne cavai fuori una traccia, un’intenzione, e non mollai l’osso finché non successe qualcosa. Questo qualcosa era una cuccioletta, una piccola filastrocca: La gatta. Correva il 1960, anno del governo Tambroni e del via libera alla polizia di sparare sulla gente in piazza. Un mesetto dopo Nanni Ricordi mi chiamò per comunicarmi i dati di vendita del 45 giri, di cui avevo disegnato la copertina e per cui avevo sceneggiato un breve filmato che, mi dicono, viene considerato il primo videoclip italiano della storia. Non scoppiava di entusiasmo, Nanni: stavamo a centodiciannove copie. Passò un altro mese, forse due, e La gatta stava ai primi posti nella hit-parade. Passeggiando per la città sentii un uomo in bicicletta fischiettarla e in me si insidiò una strana sensazione, un miscuglio di piacere e allarme. Quel signore aveva preso un attrezzo fabbricato da me e lo stava usando per i suoi interessi, come un oggetto che gli tornava utile. Era l’avviso di una verità specifica, venuta a galla con gli anni, cioè che una canzone smette di appartenerti prima che tu te ne accorga, ed è una bella fatica non diventare tu sua proprietà privata. La gatta è il luogo di un colossale equivoco, stupefacente per longevità e diffusione. Sarebbe la canzoncina che le mamme cantano ai bambini, per farli stare buoni forse, o per divertirli, o va a sapere con quale obiettivo in mente. Ma va bene lo stesso, in fondo la gratificazione più bella è che i bambini, astuti, la masticano come un ciungai al tamarindo, sentendo il retrogusto amaro che in bocca alla mamma è confuso con lo zucchero.
Estratto da: Paoli, Gino, in collaborazione con Giovanni Paoli, Sapore di note. I miei affetti, I miei valori, le mie passioni, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 70-72
Nota: Sulla presenza del disegno della gatta Ciacola sulla copertina del 45 giri Paoli si confonde nel ricordo, in quanto La gatta fu pubblicata su 45 giri con copertina forata standard della Ricordi. Il disegno cui fa riferimento Paoli nel testo compare in parte su un Extended Playing (EP) successivo in cui era contenuta anche La gatta. Il disegno completo lo si può vedere (ed è quello che abbiamo scelto per illustrare il testo) sul frontespizio dello spartito, con la gatta Ciacola in buona evidenza. Sullo spartito inoltre sono riportate le firme di Mogol e C. Bacal (pseudonimo di Carlo Donida) come autori della canzone in quanto Paoli al tempo non era ancora iscritto alla SIAE.
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