Pubblicato il
28-06-2023

Il Rock and Roll in Italia

Il Rock and Roll in Italia

Ritmi e balli americani avevano messo piede in Italia a partire dagli anni Venti e un importante filone della nostra canzone esploso a ridosso della Seconda Guerra Mondiale mostra un debito fondamentale nei confronti dello swing. Negli anni Cinquanta il processo di americanizzazione procede ancora più veloce e nel rock and roll si identificano le nuove generazioni che guardano al cambiamento. Il ballo e la sua cultura attecchiscono da noi in modo trasversale e inconsueto, stimolando la corsa all’imitazione, creando ibridi e dissacranti parodie.

NAPOLI E LE BASI NATO NEGLI ANNI ’50

(Marilisa Merolla)

Ancora più delle visite scolastiche, erano gli incontri ricreativi come i party, le feste da ballo, gli spettacoli e in concerti, i veri momenti di integrazione culturale, quando direttamente dai coetanei americani si copiavano le nuove tendenze in abbigliamento, ballo, musica, canzoni urlate, anche quelle italiane – Volare – rivisitate in energiche interpretazioni di pretta marca statunitense. Un vero salto nell’emancipazione lo facevano le ragazze, a cominciare dal gruppo scolastico le “Shermanettes”, il primo complesso musicale femminile comparso a Napoli. Maschi o femmine, napoletani o americani, tutti impazzivano per le band di rock and roll fatte in casa, come Willy and the Internationals, il gruppo composto dagli studenti della Sherman School di Frank Piraino, Bill Meyers e Bill Dowling e da tre universitari napoletani Geppino Savarese (Willy), Claudio Castaldo e Franco Ferrante, che aveva conquistato un contratto con la casa discografica VIS Radio e un’apparizione in televisione grazie a un’indiavolata versione di Lucille, l’hit del rocker nero Little Richard

Marilisa Merolla, Rock’n’Roll Italian Way. Propaganda Americana e modernizzazione nell’Italia che cambia al ritmo del rock (1954-1964), Coniglio Editore, Rm, 2011, p.32.

TU VUO’ FA’ L’AMERICANO

(Alessandro Portelli)

La cultura di massa dell’Italia provinciale si difendeva cercando di assorbire col minimo danno possibile la sfida dei prodotti americani (…). Ma il fatto significativo è che, mentre prendeva in giro il rock and roll, anche Tu vuo’ fa l’americano era una delle canzoni italiane che meglio si servivano dello stile del rock and roll. Perciò, più che un atto di opposizione alla nuova musica, è un tentativo di assimilarla rendendola familiare, riducendola alla napoletanità di una specie di ironico Posillipo-rock che spoglia la novità straniera e aggressiva della sua alienità ed estraneità (…). Questa musica americana ci si è rovesciata addosso tutta insieme, senza preavvisi e senza discriminanti. Ci mancavano gli strumenti per distinguere, nel rock, i diversi filoni e le diverse tradizioni (…). Per esempio, la prima volta che sentii Tutti Frutti era nella versione di Pat Boone: per forza poi che mi convinsi che Pat Boone era un fenomeno (c’era di peggio: The Great Pretender la sentii cantare prima da Flo Sandon’s che dai Platters).

Alessandro Portelli, Elvis Presley è una tigre di carta (ma sempre una tigre), in AA.VV. La musica in Italia, Savelli Rm, 1978, p.12 e 60.

RICKY GIANCO: ROCK AND ROLL ALL’ITALIANA

(Luigi Manconi)

Gianco è, innanzitutto, una chitarra rock e uno che canta “Ciuli Fruli” (Tutti Frutti) come Dio comanda. (…) è facile dire: ma Little Richard è un’altra cosa. E allora? Qui, in Italia, nella nostra provincia, avevamo bisogno di fare nostri quel ritmo e quel Little Richard e ciò che di pazzoide evocavano: Ricky Gianco e altri come lui ce ne offrivano la versione più adatta alle nostre esigenze. Tanto più che proprio quel brano e quel titolo in italiano maccheronico dava il senso di qualcosa di infinitamente adattabile, malleabile, manipolabile come il chewing gum. E poi siamo sicuri che oggi la versione live di “Ciuli Fruli” di Little Richard è superiore a quella live di Ricky Gianco? In realtà, la voce e l’intonazione di Gianco sono quelle classiche della melodia tradizionale, ma piegate alle nuove sonorità

Luigi Manconi, La musica è leggera. Racconto su mezzo secolo di canzoni, Il Saggiatore, Mi, 2012, p. 95.

BRUNO DOSSENA E LA “GIOVENTU’ BRUCIATA” DI CASA NOSTRA

(Dario Salvatori)

Bruno Dossena, il primo e il più popolare ballerino di rock and roll italiano si schiantò con la sua auto il 17 aprile 1958 (…) sull’autostrada Bergamo-Milano, investito da un autocarro che avanzava ad alta velocità nel buio gonfio di scrosci di pioggia. Morto sul colpo (…). Nei night, dove ballava dal 1951, era già popolarissimo: 38 fra coppe e targhe, compreso il titolo italiano di boogie-woogie e il campionato del mondo di Be-bop (titolo conquistato a Lione nel 1955), come curiosamente veniva definito talora il ballo, associandolo, del tutto erroneamente, al jazz moderno (…). Al Santa Tecla, storico night milanese, tempio del rock and roll, si andava per ascoltare Adriano Celentano, Giorgio Gaber, i Campioni, Tony Dallara, Clem Sacco, Guidone, Ghigo, ma le serate realmente speciali erano quelle in cui Bruno Dossena si scatenava sul palco, dimostrando a tutti quei giovani talenti in erba cosa si potesse fare con quel ritmo arrivato dall’America. Il suo modo di ballare era puro istinto, musicalità, espressione della libera circolazione motoria (…). Bruno Dossena è stato il primo eroe del rock and roll. Per gli appassionati milanesi sicuramente un mito, ma anche la prima tragica vittima, l’emblema di una gioventù gaia e improvvisatrice, pallida come una segreta malinconia ma straordinariamente carica di energia, in grado di elettrizzare e di rendere felici.

Dario Salvatori, Rock Around the Clock. La rivoluzione della musica, Donzelli, Rm, 2006, p. 151-153