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Il canto degli italiani

Il canto degli italiani (Fratelli d’Italia)

L'aspetto storico più sorprendente di Fratelli d'Italia è probabilmente Ia rapidità con cui le strofe scritte da Goffredo Mameli si diffusero e diventarono una canzone di battaglia. Nel 1847 c'erano i giornali, più di opinione e di cronache locali che di notizie dal mondo, perché non esistevano agenzie di stampa. Ma non c'era alcuno dei mezzi di comunicazione moderni, a meno di considerare tale il glorioso telegrafo Morse, allora nel primo decennio di vita. Ciò malgrado, la diffusione dell’inno fu rapidissima. Il canto degli italiani, come Mameli chiamò la sua creazione, cominciò a circolare probabilmente fra ottobre e novembre, stampato su foglietti volanti. Nella prima versione, l'attacco non diceva «Fratelli d'Italia,/ l'Italia s'è desta, ma «Evviva l'Italia, / l'Italia s'è desta". Il manoscritto originale è conservato presso l'Istituto mazziniano del Comune di Genova, mentre al Museo del Risorgimento di Torino si può vedere un secondo manoscritto: quello che Mameli inviò con la data 10 novembre 1847 al maestro Michele Novaro perché provvedesse a musicarlo. C'è una qualche incertezza di date dietro cui in realtà si cela un piccolo giallo storico-letterario riguardante proprio la melodia da abbinare alle rime. Inizialmente Mameli pensò infatti all’adattamento a musiche già esistenti, poi si rivolse a due concittadini (si chiamavamo Magioncalda e Nosella), della cui opera no apparve tuttavia molto soddisfatto. Si rivolse quindi al maestro Novaro, facendolo contattare a Torino.

La data ufficiale di debutto dell’inno è comunque il 10 dicembre 1847, quando ll canto degli italiani congiuntamente firmato da Mameli e Novaro venne presentato ai genovesi e ai patrioti di varie regioni convenuti nel capoluogo ligure. L'occasione era la ricorrenza del centenario della cacciata degli austriaci, il programma prevedeva anche un pellegrinaggio al santuario di Oregina. Come "anticipo” dello Statuto era venuta meno la norma poliziesca che proibiva assembramenti di più di dieci persone. E furono in circa 30.000 convenuti a intonare entusiasticamente le note di Fratelli d’ltalia, mentre si accendevano i fuochi della cosiddetta “notte dell'Appennino”: grandi falò organizzati da Nino Bixio sulle vette più alte, dal Monte Fasce fino al litorale. Dopo qualche giorno tutti comunque conoscevano l'inno, e in particolare i genovesi continuarono a cantarlo nelle dimostrazioni di crescente vivacità che nella città si susseguivano a getto continuo. La mancanza di microfoni e di sistemi di amplificazione non era un ostacolo. Né la popolarità rimase circoscritta alla Liguria, perché pochissimi mesi più tardi ci fu in Lombardia la vera prova del fuoco: fra crepitio di fucili e colpi di cannone, Fratelli d'ltalia confermò le sue doti di orecchiabilità e di forza di trascinamento sulle barricate delle Cinque giornate di Milano (18-23 marzo 1848), dove appunto gli insorti fecero risuonare a pieni polmoni Il canto degli italiani di Goffredo Mameli e del maestro Michele Novaro.

Estratto da: Tarquinio Maiorino, Giuseppe Marchetti e Piero Giordana, Fratelli d’Italia. La vera storia dell’inno di Mameli, Mondadori: Mi, 2001, pp.17-18.

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