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I giardini di marzo

I giardini di marzo 

(Lucio Battisti-Mogol) – Lucio Battisti, 1972

Mogol: «Io credo di avere un dono straordinario, credo di avere una capacità di ricezione notevolissima.

Nella mia scuola in Umbria, agli allievi nego che noi siamo creativi. Gli dico che noi siamo ricettivi. Gli dico che l’artista e uno che è sul balcone dell’universo. E nell’universo, nell’aria, girano delle cose, ci sono dei movimenti. E uno che sta su questo balcone - libero di testa, con il naso proiettato verso il vento, cercando di inspirare tutto quello che ci può essere di vero, di nobile nel mondo — può recepire sensazioni, stimoli e farli suoi.

Io sono così, sono dotato di una facilità straordinaria di catturare. E dopo avere scritto i miei testi, quando me li rileggo, giuro, mi sembra sempre che li abbia scritti un’altra persona.Perché, a volte, c’è una specie di coerenza stringente, una potenza che non mi riconosco... Eppure mi escono fuori facili, scorrevoli come l’acqua. Che ne so cosa è stato, forse è stato il mio sottovalutarmi nella vita. Per esempio, da bambino sognavo di diventare impiegato di terza categoria, perché pensavo che non c’era un posto per me nel mondo, ero terrorizzato dall’idea di non potermi procurare da mangiare senza mio papà.

Tutto questo insieme di cose forse mi ha compresso come una molla, mi ha preparato a saltare in alto. Oppure è una sensibilità che mi arriva sulla punta dei polpastrelli... che mi viene fuori quando... non lo so che cos’è, giuro che non lo so. So che si sprigiona qualche cosa che secondo me è straordinaria.

Quando mi fanno sentire una musica che mi emoziona, non passa mai un’ora che non abbia finito il testo. Non è mica normale. Non vorrei passare per un presuntuoso, perché io mi sento solo un beneficiato, uno che quando sentiva le musiche di Battisti, rovesciava fiumi di parole. Che ne so. C’era qualcosa di... medianico.

Mi ricordo I giardini di marzo: lo avevo terminato e mi dicevo: ma dove sono andato a finire? Eh sì: quando avevo scritto, andavo a letto e smaniavo... chissà dove son finito... sono andato fuori tema... Perché ogni nuovo testo non aveva niente a che fare con quelli precedenti.Poi invece arrivava Lucio che la mattina mi rifaceva risentire tutto. E lui aveva la fede di dire: “No, ti sbagli, hai scritto delle grandi cose”. Io ero andato per boschi, per fiumi, per laghi, ero tornato, ma non sapevo più neanche che strada avevo fatto».

Estratto da: Pirito, Nino, Volare, Il romanzo del festival, Genova, De Ferrari, 1997, pp. 111-112

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