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Azzurro

Azzurro

(Sergio Bardotti-Sergio Endrigo) – Sergio Endrigo, Roberto Carlos, 1968

Sono diventato cantautore per forza di cose. O, piuttosto, per forza... della musica. Tutto, in effetti, nasce dalla mia passione per la musica. Non avendo seguito studi classici, non ho potuto diventare musicista di musica classica. Nonostante la mia passione, non ho avuto modo di approfondirla. E abitando ad Asti non potevo, nelle condizioni di allora, spostarmi tanto facilmente nelle grandi città per sentire jazz, per affrontarlo da musicista. Non potevo proprio diventare jazzman. Né classica né jazz... persistendo la mia passione per la musica non mi restava che un campo da coltivare: la canzone. La canzone può sembrare un’arte minore. Niente affatto. Una canzone può essere bella tanto quanto un pezzo classico o jazz. L'importante è che sia di qualità, scritta e interpretata con amore.

Quando ho cominciato a scrivere canzoni, da un lato ho dovuto metter da parte i miei gusti musicali, e dall’altro tenerne conto. Ho dovuto anche pormi di fronte a un mondo che non mi piaceva. Le possibilità che avevo erano ridotte: non volevo scrivere né una cosa qualsiasi né per una persona qualsiasi; ero molto filoamericano; i cantanti italiani non mi piacevano, con quelle voci sdolcinate, artificiose. (In generale, non amo quei cantanti che non cantano con la loro voce, con la voce che usano nella vita. Quelli che cantano così sono rari e sono questi che mi interessano). Allora c’erano Celentano, Patty Pravo, Caterina Caselli, Ornella Vanoni, Jannacci. Ancora oggi essi mi interessano per la loro capacità di cantare come esseri umani, con una pronuncia credibile dell'italiano. È il pregio di Celentano: esser capace di rendere immediatamente intellegibile un testo cantandolo, fosse anche l’elenco del telefono. Non è una questione di teatralità ma un modo umano, perfino banale, di interpretare una canzone.

Cominciando a comporre, ho volutamente seguito strade fuori dalla norma. Per esempio Azzurro, una delle mie prime canzoni... Allora, era piuttosto stramba: una marcetta! Nessuno scriveva marcette. Io lo feci per ragioni poetiche. Secondo me la marcia è radicata nel profondo del nostro cuore. Al di là delle mode.

Quando uscì Azzurro ci fu una levata di scudi perché andava controcorrente rispetto ai ritmi dell'epoca. Sogghignarono in molti, ma io me ne infischiavo perché avevo applicato a quella canzone degli echi poetici che fanno parte della nostra sensibilità. Fui capito dal pubblico: Azzurro ebbe un grande successo. Tutte le mie canzoni nascono con questo spirito: scrivere una musica fuori moda, un po’ segreta, che vada a cercare in fondo a noi le risonanze della nostra identità.

[…] Il giorno in cui Celentano registrò Azzurro, portai a casa una copia del provino. Era tardi, ma mia madre era ancora alzata. Andammo tutti e due in cucina e accesi il magnetofono… Mia madre si mise a piangere. Mi domando ancora adesso quanto ci fosse, in quelle lacrime, di passato o di futuro.

 

Estratto da: De Angelis, Enrico [a cura di], Tutto un complesso di cose. Il libro di Paolo Conte, Firenze, Giunti, 2011, pp. 82-84

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