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Amore caro, amore bello

Amore caro, amore bello 

(Lucio Battisti-Mogol) – Bruno Lauzi - 1971

Il mio professore di filosofia al glorioso liceo classico D’Oria di Genova diceva sempre di diffidare di chi è poco chiaro e non si fa capire perchè “Chi non si fa capire o non ha capito lui stesso o ha interesse a non farsi capire”, diceva. Sembrava avesse indovinato cosa mi sarebbe successo con i nostri Battsti & Mogol nel 1971, quando mi fu data la nuova canzone pensata e confezionata come si deve proprio per me, talmente per me che è l’unica canzone sua che Battisti non cantò mai, tanto, diceva, “non saprei mai cantarla meglio di te”. Lusinghiero, indiscutibilmente, ma cosa stavo cantando? Mi ritrovai nella ridicola situazione di doverne chiedere la traduzione all’autore. Ad esempio versi come:
Sincera,
come l’acqua di un fiume di sera,
trasparente eppur sembri nera
e ancora
ho visto
cattedrali di luce nel cuore
troppo sole può farmi morire
cosa volevano dire?
Sernplicissimo: lei lo ha tradito e la sincerità della confessione porta come conseguenza inevitabile che viene allo scoperto la sua nera essenza peccaminosa, e che l’improvvisa e violenta rivelazione della verità, risulterà insopportabile. Beh, mi permetto di ritenere più nobile l’ermetismo di Ungaretti e di Montale.
Mi spiace sputare nel piatto in cui mangio, ma io odio Amore caro amore bello dal primo giorno; tuttavia sono un professionista e non sono neanche “abelinato”. Odio la sua natura di romanza operettistica, quel grido retorico nel bridge:
Le mani, non le ha, oppure si?
E poi cos’ha?
Ah, io muoio!
Patetico lamento da cornuto piagnone. Non è esattamente il mio genere; il piagnone, intendo.
Capodanno del ’71 a Rio de Janeiro, a casa di Juca  Chaves che sta spiegando agli amici carioca chi sono e che al momento sono primo nella Hit Parade italiana. Tutti si complimentano e mi invitano festosamente a far sentire la canzone. Afferro una chitarra e me la canto e me la suono, come si dice. Al termine c’è un attimo di silenzio e poi Juca esclama. Stupefatto, balbettando dalla sorpresa: “Ma, ma questa è Opera”. Dalla smorfia sottintesa capisco subito che non è un giudizio positivo. Come li capisco! Per chi è cresciuto a pane e samba fin da bambino il linguaggio ottocentesco di questa canzone può far sorridere ma non commuovere, esattamente l’opposto di quanto è avvenuto da noi.
Lucio mi fece un giorno, improvvisamente, uno dei più bei complimenti che io abbia mai ricevuto. Mi disse: “Tu sei l’unico tra quelli che cantano le mie canzoni che le fa così sue che molti ti chiederanno se ne hai scritte altre per me”. Cosa che si è puntualmente verificata numerose volte, consacrandomi interprete e liberandomi dal complesso del “traditore della causa” cantautorale.
Estratto da: Lauzi, Bruno, Tanto domani mi sveglio. Autobiografia in controcanto, Sestri Levante, Gammarò Editori, 2006, pp. 89-90
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